Il concetto di “nemico” è profondamente radicato nella psiche umana. A volte reale, altre volte immaginario, esso è presente nella storia, nella religione, nella letteratura e perfino nei nostri pensieri quotidiani. Guerre sanguinose, scontri religiosi, antagonisti letterari come Don Rodrigo ne “I promessi sposi” sono solo alcuni esempi di come la figura del nemico sia onnipresente.
Avere a che fare con un nemico, indipendentemente dal tipo e dalla qualità dello stesso, può essere un processo costruttivo che permette di calibrare e di modulare molti aspetti della personalità. Ad esempio, in uno scenario di competizione l’individuo può condividere con lo stress e può modulare dei processi attivi per migliorare sé stesso. In altri casi, invece, il nemico può essere stereotipato se non inesistente.
L’identità personale e il nemico
La nostra identità si forma fin dall’infanzia, attraverso l’interazione con gli altri e la comprensione di ciò che è positivo o negativo per noi. In questo processo, la presenza di un “altro” da cui distinguersi può essere fondamentale per definire chi siamo. Questo “altro” può diventare un nemico, reale o immaginario, contro cui contrapporsi per rafforzare la propria identità.
Tuttavia, quando l’individuo è intrinsecamente debole, ad esempio perché vive di insicurezze o insoddisfazioni spesso cerca di risolvere le proprie frustrazioni scagliandole contro un nemico. Questo comportamento è tipico dei soggetti borderline che manifestano alterazioni sociali e conflitti personali. In questo modo, l’individuo non mette mai in discussione sé stesso ma preferisce deresponsabilizzarsi e trasferire le proprie criticità verso un nemico.
È bene fare attenzione su un aspetto: nella maggior parte delle volte questo tipo di malessere viene veicolato verso persone esistenti: un conoscente, un parente, un collega o un vicino di casa. In altre occasioni può essere un gruppo di persone, che possono o meno condividere alcune caratteristiche comuni. In altri casi il nemico non è materiale: il fato, la sfortuna o perfino una divinità possono essere “incolpati” di eventi avversi.
Elementi caratterizzanti
La maggior parte delle persone che tende a deresponsabilizzarsi segue un pattern ben conosciuto e stereotipato nel complesso “gioco del nemico”. In base al tipo di approccio e all’esperienza personale sceglie una o più figure che vengono incardinati saldamente nei pensieri e nel quotidiano come esempi di negatività. Questo gruppo di contrasto è spesso responsabile di azioni marginali o addirittura inesistenti che, tuttavia, scatenano malessere, odio, ira e perfino atteggiamenti aggressivi.
Durante il corso del tempo, il soggetto potrebbe incontrare altre difficoltà personali per le quali delega (deresponsabilizzandosi) delle figure in modo più o meno casuale. In questo modo, con un meccanismo di proiezione e di compensazione, può inconsciamente liberarsi delle parti che non vengono accettate trascinandole verso elementi terzi e del tutto estranei.
Proiezione di se stessi
La presenza di qualcuno da combattere, in moltissimi casi, è la proiezione del sé stesso. Un individuo incapace di portare a termine un compito (indipendentemente dalla difficoltà e dalla qualità dello stesso) tenderà a trasferire questa mancanza verso un individuo terzo. Questa figura diventerà il motivo per il quale l’individuo non può mettere a punto quel compito; ad esempio, il nemico vuol fare di tutto per sabotare oppure per screditare l’individuo. Questo complesso sistema rassicura l’individuo che, di fatto, si sente deresponsabilizzato per un eventuale fallimento.
Approccio
L’approccio a questo tipo di costruzione, immaginaria o enfatizzata, è molto complesso poiché l’individuo può opporre delle resistenze. Il professionista della salute mentale e, sebbene in misura minore, l’insieme affettivo formato dagli amici e dai familiari, possono avere problemi nel far visualizzare un aspetto diverso della visione distorta formatasi nell’individuo.
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